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Instagram non è fotografia, parola di Francesco Mattucci

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Instagram non è fotografia, parola di Francesco Mattucci

Fotografo professionista, appassionato di Instagram ed esperto di comunicazione digitale, Mattucci ci racconta del suo libro e delle novità dell’amatissimo social

Incontro Francesco Mattucci, nella hall di un elegante hotel in Melchiorre Gioia poco prima della presentazione del suo nuovo libro,IInstagram non è fotografia (ed. Webbook), negli spazi di Open a Milano.

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Francesco Mattucci, 50 anni, fotografo ed esperto di comunicazione. Autore di Instagram non è fotografia

 

Viso sorridente, sguardo pulito e vivace, iniziamo subito la nostra chiacchierata. Francesco, perché questo titolo un po’ contraddittorio? Instagram non è un social fatto principalmente di immagini?

Instagram è il social che ha trasformato tutti in fotografi. Anche chi è molto lontano da questa professione. La verità è che ho combattuto molto per avere questo titolo perché l’editore non era d’accordo. Si doveva intitolare Instagram Marketing – o qualcosa di simile  – come tutti i libri che trattano questi argomenti. Ho insistito molto perché sostengo che Instagram sia prima di tutto un social network. Non è una piattaforma di sharing fotografico – per quello esistono altre realtà dai forum delle agenzie fotografiche a flickr  – mentre Instagram è qualcosa di molto diverso. Offre diverse opportunità di narrazione e di conversazione. Poi sicuramente la parte visuale è molto importante.

Instagram non è fotografia edito da Webbook

Perché hai sentito l’esigenza di scriverlo?

Non ho sentito l’esigenza di fare questo libro, ma mi è stato chiesto tante volte. Non sono uno scrittore ma un professionista abituato a comunicare per immagini e non con le parole. Inoltre i libri su questi argomenti sono rischiosi perché è come scrivere sulla sabbia: il tempo di un’onda e si cancella tutto e si ricomincia da capo. Da maggio a dicembre 2019 ho lavorato a questo testo che ha già delle parti che sarebbero da rivedere…

Mette un po’ l’ansia…

Tantissima ansia. Ho accetto perché scrivere un libro senz’altro ti conferisce autorevolezza su un argomento come questo. Oggi in Italia se non hai scritto almeno un libro non sei nessuno (ride, ndr). Poi ho voluto mettermi alla prova e cercare di spiegare metodi e strategia di questo canale. Questo volume non è e non vuole essere un manuale di istruzioni ma solo uno strumento per comprendere il mondo di Instagram.

Instagram e gli altri social sono sempre in evoluzione

Perché prediligi Instagram?

Per me è il social per elezione. Io sono vecchio! Ho 50 anni! Sono stato tra i primi ad approcciarmi a questo strumento: sono iscritto dagli inizi, dal 2010. E da subito mi sono appassionato per due aspetti: Istant + Telegram. Ovvero essere nel posto giusto al momento giusto. Questo è successo nello stesso momento in cui è uscito l’Iphone 4, il primo telefono con una fotocamera decente. Per me è passato, piano piano, da essere un hobby a un lavoro.

I social sono sempre in evoluzione, Instagram in primis, ma secondo te che cosa c’è che rimane “eterno”?

I social hanno portato delle grandi novità nel mondo della comunicazione. Prima cosa tra tutte il concetto di eliminare la mediazione tra azienda e cliente. Tutto è iniziato nel 1997 quando uscirono i primi blog, un’era che è durata fino al 2001. La scrittura però non è per tutti e questo limitava molto. Con l’introduzione delle immagini (2004 Facebook, 2005 Youtube, 2006 Twitter e 2010 Instagram) che diventano fondamentali e i contenuti diventano sempre più immagino-centrici e non più testo-centrici. La grande rivoluzione arriva con il “push bottom” che poi è la condivisione. Le persone quindi hanno iniziato a non avere più il bisogno di verbalizzare la loro approvazione verso un contenuto, ma bastava la condivisione sulla propria pagina di un post per dimostrare la propria opinione. In sostanza: mi associo a un’idea già espressa e lo faccio semplicemente rilanciandola nella mia Rete. I social su questo sono in continua evoluzione. Instagram, per esempio, è nato per condividere foto tra una ristretta cerchia di amici, senza hashtag e altro, poi è diventato ben altro con strumenti sempre più sofisticati. Ora pubblichi una foto a Milano e in un secondo viene vista dall’altra parte del mondo. È diverso, no?

È un mezzo con cui esprimere un messaggio che può essere equivocato?

Sì certo, l’equivoco è sempre dietro l’angolo. Anche se le immagini sono più esplicite: emozionano, sorprendono e trascendono dal testo. Ma l’immagine deve essere memorabile e quando la si posta si deve avere ben presente a quale audience si rivolge. Se sono una pasticceria di Porta Nuova non mi posso interessare i “mi piace” dei newyorkesi. Mi lusinga, ma non mi fa vendere.

A chi si rivolge il tuo libro?

Non è per gli addetti ai lavori. Sono 250 pagine basate sulle domande che mi vengono rivolte ai miei workshop. È più un libro per mia mamma che mi chiede “vorrei usare l’Instagram”. Ecco leggi questo, le dico ora. È perfetto per chi si approccia al mezzo e ne vuole sapere qualcosa di più.

La domanda più strana?

Quanto tempo hai? Posso dire che la cosa di cui tutti si stupiscono è che “fare i social” sia un vero e proprio lavoro. Ci vuole tempo, denaro e tanta dedizione. Nulla è dato per scontato e ci vuole tanto studio e formazione continua. I social non sono delle onlus e si rivolgono a un pubblico immenso. È necessario prevedere del budget per le sponsorizzazioni per crescere altrimenti è meglio lasciar perdere.

Dai media tradizionali alla Brand Humanization

Cosa serve per crescere sui social?

La notorietà. Essere un personaggio pubblico o andare in tv (vedi i cantanti di Sanremo, per esempio) consente una crescita veloce. Il momento di “gloria” televisiva si trasferisce sui social facendo crescere rapidamente il numero di fan. Un altro esempio: la nazionale femminile di calcio italiana. Improvvisamente gli italiani si sono accorti di queste atlete e dei loro canali social. Ma queste ragazze sono diventate influencer? No, ma sono state solo brave a sfruttare quello che si chiama OPN, other people network.

Tik Tok sostituirà Instagram?

Non credo. Tik Tok sta solo vivendo un momento d’oro, ma Instagram sta sviluppando delle skill simili. È più probabile che le aziende preferiscato continuare a investire in un social dove il pubblico è già immenso e i brand sono già consolidati. Vedremo.

Le aziende più piccole credono che Instagram sia uno strumento di vendita, è vero?

No, è uno strumento di narrazione. Il prodotto semplice è controproducente. E poi sono i giovani a decretare che cosa funziona e cosa no. Instagram oggi sostiene che il 50 per cento delle persone comprano una cosa solo se la vedono nel contesto. Una scarpa bella la compri perché la vedi addosso a una bella donna a un festa. Vuoi vedere l’esperienza. Si chiama Brand Humanization, non  interessa più di tanto la storia del brand.

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